L’alluvione dell’Emilia-Romagna del 2023 comprende una serie di eventi alluvionali e geologici prodotti da un fronte meteorologico occluso di origine atlantica, alimentato a sua volta da un ciclone mediterraneo, che ha generato sulla regione piogge persistenti, allagamenti, straripamenti e frane dal 2 al 17 maggio 2023. I dati dell’evento alluvionale romagnolo sono impressionanti:
– 23 fiumi esondati, i punti di esondazione sono oltre 50,
– oltre 500 frane,
– Pioggia che, racchiusa in 4 giorni (1-2-16-17 maggio) ha superato perfino il piovosissimo maggio 1939.
La manutenzione, che è sacrosanta, va bene per far fronte ad eventi moderati. Quello sopra sintetizzato è tutto tranne che moderato. Se non si analizza il problema partendo da questo fatto, sarà difficile trarre qualche ragionamento serio. Evidentemente il sistema di scolo delle acque, con fiumi ristretti nel tempo, i cui tratti arginati sono stati costruiti molto tempo fa, non sono più sufficienti a far defluire questi carichi idraulici. C’è poco da fare, con questo assetto territoriale, la questione è diventata ingestibile, soprattutto nei confronti dell’attuale e futuro regime di precipitazioni piovose. In parole povere tutto il sistema idraulico di gestione delle acque piovane non è più in grado di fronteggiare eventi atmosferici di portata media – intensa. A questo si deve aggiungere, purtroppo, la cattiva gestione, in alcuni casi totale assenza, delle acque piovane da parte dei privati in quanto, l’acqua piovana della propria abitazione o terreno andrebbe scaricata nella rete e non sulla strada.
E sulla pulizia dei fiumi quindi? Questo concetto precotto, che ogni volta viene ripetuto fino allo sfinimento, trae la sua origine in una distorsione storica, ovvero che “una volta” si facesse manutenzione. In realtà non è così, ma molto semplicemente “una volta” i fiumi godevano di maggior rispetto da parte dell’uomo, come il territorio ad essi circostante. Dal secondo dopoguerra in poi, i fiumi sono stati visti come cave a cielo aperto per inerti, sabbie e ghiaie, e aree di scolo in cui far transitare il più velocemente possibile le acque dai rilievi al mare.
Questo ha fatto si che, soprattutto relativo alle gigantesche estrazioni di sedimenti in alveo, i fiumi iniziassero un processo di incisione dell’alveo stesso, attraverso il fenomeno di erosione che si manifesta sia in maniera regressiva, ovvero a monte di dove io ho estratto i sedimenti, che progressiva, a valle del punto di estrazione.
I fiumi sono andati incontro quindi ad un processo di canalizzazione innaturale che ha portato numerosissimi problemi con sé, tra cui: aumento della velocità della corrente, aumento dell’incisione, minor espansione e, soprattutto, minor ricarica delle falde acquifere. Un esempio evidente sono gli isolotti che si sono formati sul fiume Adige ben visibile transitando su ponte Limoni o, la scomparsa dell’isola una volta ben visibile da ponte Principe Umberto di Legnago. L’aumento della velocità della corrente, porta ad un evidente problema di ricarica delle falde acquifere che avviene principalmente per contatto quindi, il fiume accelerando la sua corsa, rilascia pochissima acqua sulle falde sottostanti aggravando il problema della siccità.
La pulizia risolve tutto? Bisogna definire cosa si intende per pulizia: l’unica pulizia fluviale che ha senso è la rimozione del legname secco in quanto quello viene subito preso in carico dalle piene e potrebbe creare sbarramenti in sezioni critiche come, ad esempio, ostruire la luce di un ponte. Il resto, sono leggende metropolitane. Gli alberi “vivi” rappresentano una difesa idraulica passiva, in quanto sono in grado di far rallentare la corrente idraulica. Pensate che dove non ci sono, vengono impiantate delle opere di ingegneria con la stessa funzione degli alberi, detti pennelli. Purtroppo però non vanno abbandonate e necessitano di continua manutenzione, compresa la potatura e la sostituzione.
Il problema principale legato ai fiumi è che la sezione è ridotta sempre più all’osso, ovvero ridotta la larghezza al minimo senza lasciare la possibilità all’acqua di riappropriarsi di terreni ma, soprattutto, paghiamo la cementificazione e di conseguenza l’impermeabilizzazione dei terreni. Ad esempio, un area di un chilometro quadrato a terreno naturale assorbirà più o meno acqua a seconda della sua composizione ma, nel caso venga coperta da materiale impermeabile come cemento o asfalto, dove andrà l’acqua che piove? Non verrà mai assorbita e finirà velocemente nelle reti scolanti, quindi nei canali ed infine nei fiumi. Si, quei fiumi che già li abbiamo ristretti e poi caliamo giù l’asso come surplus idrico da gestire. E le precipitazioni intense, concentrate, degli eventi estremi mettono la ciliegina sulla torta. Questo concetto vale per i fiumi ma vale anche per le nostre case. Molto spesso, analizzando i problemi di chi ha subito allagamenti, scopriamo che buona parte della capacità di catturare acqua da parte del terreno è stata compromessa a causa di lavori domestici che lo hanno impermeabilizzato.
A questo punto è d’obbligo chiedersi cosa possiamo fare per provare a prevenire o contenere i problemi. Vanno aumentate le golene, va dato spazio ai fiumi di potersi allargare, vanno ripristinate le aree tampone, vanno riaperti tutti i canali di scolo, vanno risolte le criticità dovute alle impermeabilizzazioni del suolo come serre o affini. Dobbiamo tornare ad un piano di gestione e conservazione delle acque di territorio abbandonando il sistema a canale singolo modello “canale scolante” come li vediamo ora.
L’acqua è un bene prezioso e dobbiamo occuparcene tutti. Il Comune può e deve fare molto, ma serve l’aiuto di tutti, soprattutto nella responsabilizzare lo scarico ricordando che le strade non sono fiumi, i canali di scolo non sono fiumi, ed i fiumi vanno rispettati. Se non capiamo questo concetto sarà sempre peggio: la cementificazione e il cambiamento climatico comportano un notevole surplus idrico che i fiumi, ristretti fino all’osso, non riusciranno mai a smaltire e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.